Vittorio Alfieri
Bur 1980
Introduzione e note di Vittore Branca
Le tragedie "Filippo" e "Saul" segnano due tappe di rilievo nell'arco del lungo
e difficile itinerario artistico dell'Alfieri: l'una, ideata nel 1775 e poi
lungamente rielaborata, costituisce il primo annuncio della sua intensa e
originale voce poetica; l'altra, composta al culmine della maturità, nel 1782,
ne rappresenta il traguardo più alto, l'indiscusso capolavoro. In entrambe si
coglie un sentimento desolato del vivere, l'idea che l'esistenza è un dramma di
costrizioni e solitudine, in cui l'individuo non mediocre vanamente consuma la
sua volontà di affermazione, l'ansia sempre frustrata di libertà. E' questa la
coscienza che già emerge nella prima tragedia dove la figura di Filippo II
giganteggia tetra sullo sfondo di una corte già offuscata dall'ombra del
declino: e il suo isolamento trova definitivo suggello nella condanna a morte
del figlio Carlo, unico degno interlocutore della sua grandezza. Nel "Saul" la
più celebrata delle tragedie alfieriane, il motivo, ormai lungamente meditato,
della tirannide si chiarisce nella sua intima e terribile verità: la radice del
male è nella stessa natura, nel suo ciclo inesorabile di decadenza e di morte,
in quella forza misteriosa che il vecchio re biblico sente incombere su di sé
come limite invalicabile alla sua autonomia di uomo, e che disperatamente
rifiuta, esprimendo col suicidio un atto estremo di volontà e di rivolta.
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