Lucio Anneo Seneca
BUR 1998
Introduzione, traduzione e note di Costantino Ricci
Testo latino a fronte
Classificando l'incapacità di adirarsi come una forma di
debolezza Aristotele aveva insegnato a non considerare l'ira una passione
negativa, ma a riconoserne, quando fosse disciplinata dalla ragione, una
funzione nella dinamica sociale. Addirittura secondo una citazione,
probabilmente inesatta, riportata da Seneca, l'ira si sarebbe trasformata, nelle
riflessioni aristoteliche, in una componente indispensabile della virtù, nello
stimolo stesso a compiere grandi imprese. Invisa invece alle dotrine stoica ed
epicurea che ammonivano l'uomo a controllare, tra le passioni e gli eccessi,
anche le esplosioni della rabbia, auspicandone il totale sradicamento
dall'animo, l'ira è anche per Seneca violenza cieca e sregolata, legata ad
atteggiamenti colpevolmente sospettosi o suscettibili, figlia di un eccesso di
orgoglio, portatrice di effetti funesti. E dell'ira il trattato si propone di
insegnare il dominio, nel duplice aspetto di capacità di controllare se stesssi
e di attitudine a frenare gli altri. Scritto sicuramente dopo la morte di
Caligola (41 d.C.) e con ogni probabilità durante il periodo dell'esilio, il
libro sull'ira appartiene al gruppo dei dialoghi filosofici senecani, testi
dedicati alle passioni e alle attitudini umane, strutturati in forma di dialogo
al fine di evitare la monotonia di un'esposizione continua, e di sfruttare la
vivacità che il dibattito e la contrapposizione di tesi diverse consentono di
raggiungere
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